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venerdì 3 novembre 2017

Recensione: Amore mai nato, di Maria Rosaria Ciotola

Al Salone del Libro di Torino sono rimasta attratta da uno stand che oltre a offrire un ottimo caffè, proponeva dei titoli interessanti. La mia curiosità si è infine fermata su questo romanzo breve contro la violenza sulle donne, perché chi mi segue da tanto lo sa quanto mi piacciono le storie cruente.
La mia scelta è caduta su "Amore mai nato" e credo che il titolo sia sufficientemente esplicativo.
In una cinquantina di pagine l'autrice ci porta, mediante il filone principale ovvero quello di Lorena -che tenta di recuperare la sua vita, svilita da Andrea, un narcisista che definirei anche anaffettivo- a sviscerare anche le vite dolorose di altre donne, che hanno subito troppo e hanno bisogno di recuperare la felicità.
Lorena dovrà trovare la forza dentro se stessa, riuscirà a volersi bene e a ricominciare?

La narrazione è molto profonda, aiuta ciascuna a leggersi dentro. In un certo senso fa da supporto psicologico, da apripista nel lungo e tortuoso percorso che conduce dal dolore alla gioia. La scrittrice affronta una tematica molto bollente e spinosa senza ricorrere alla violenza: non vi aspettate una carica distruttiva che travolge qualsiasi cosa; c'è al contrario molta riflessione e rielaborazione del "lutto", come se gli eventi fossero già stati assimilati e fosse presente una grande consapevolezza. La violenza non è pertanto rappresentata o raccontata nel dettaglio, va più percepita come estrapolata dal contesto. Non ci sono eclatanti descrizioni di episodi che fanno da esempio, anche le violenze subite dalle due sorelle Carla e Simona non vengono narrate in maniera episodica; ci si sofferma più sulle conseguenze psicologiche dell'accaduto. Non troverete pertanto schiaffi, scene di stupri ecc. È uno scritto prettamente curativo, mirato a lenire le ferite e a compensare i danni subiti.
Le donne del libro sono tutte (chi in negativo chi in positivo) per il metabolizzare l'accaduto, per parlarne. I personaggi, salvo Andrea, sono molto sciolti nell'esprimere le emozioni che provano, non  fanno grandi tabù nemmeno nel raccontare ciò che sulle prime sembrerebbe inesprimibile.
Le singole storie diventano un modo per introdurre naturalmente tematiche delicate e fornire una risposta ad interrogativi impliciti.
Quasi a tutte inculcano sin da piccole il senso della paura e dell'impossibilità, come se volare basso potesse tenere lontano il dolore. Sperimentiamo il più delle volte solo quello per cui ci sentiamo capaci, soffochiamo il talento e ci infastidisce quello altrui. Abbiamo bisogno di sentirci parte di un gruppo per non sentirci sole, come se il momentaneo rimanere con noi stesse fosse pericoloso. Ci lusinga il metterci al servizio di idee o uomini di successo senza considerare che a loro dedichiamo, fino a perderla, la nostra identità. Ci invitano, con messaggi subliminali, a tener ben chino il capo, l'arte del tacere. Diventiamo vittime di noi stesse e finiamo con il procrastinare il momento della scelta, a credere nell'arrivo di colui che ci salverà dal male. Molte neppure si accorgono di quanto accade loro, felici senza mai un dubbio; altre, pur percependo la presenza di innegabili stonature, nel misero tentativo di tutelare la propria posizione, decidono di seguire la massa; alcune mosse da un'inquietudine si interrogano, cercano, sperimentano nuove strade.
Il messaggio lanciato è molto chiaro e forte durante tutta la narrazione ed è portato a ricostruire vite.
È una storia fortemente concettuale e interessante da cui le persone possono imparare a volersi bene.
L'unico neo è che la forza del messaggio penalizza il carattere individuale di alcuni personaggi, mi spiego meglio: quanto viene detto è indubbiamente profondo e degno di lettura, ma impone delle forzature narrative. Mi riferisco a due ragazze che, violentate dal padre, ne discutono apertamente (per quattro facciate) in hotel, a porta aperta, mentre una sconosciuta le sta origliando. Le due introducono una tematica davvero importante, ma solitamente è difficile che si parli per molto tempo di una cosa del genere in una stanza di albergo senza chiudere la porta. Presumo che due che hanno subito violenze dovrebbero essere molto introverse e restie alla comunicazione o comunque ad affrontare apertamente tale argomento. Sarebbe difficile assistere realmente a una conversazione del genere; come anche Lorena stessa viene sorpresa ad origliare da un uomo che la stava osservando a sua volta e lui comincia come se niente fosse a raccontarle questioni dolorose del suo passato. È come se le distanze personali fossero annullate per valorizzare la morale di fondo, vero è che se tutti fossero stati musoni e chiusi nel loro lutto, non avrebbe avuto senso il libro. È una forzatura che, visto il fine, in fondo ci sta.
È una lettura che consiglio soprattutto a chi sta cercando la forza per sfuggire a situazioni spinose e soffocanti. È un invito a riprendere in mano il proprio futuro, rimboccandosi le maniche in prima persona.

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