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venerdì 17 marzo 2017

Recensione: Il tempo e la felicità, Luciano De Crescenzo

Voto: Tre stelle e mezzo 

Trama: Il protagonista abita a Roma in via dei Fori Imperiali. A una certa decide di mettersi a scavare in cantina per vedere cosa trova, fino a quando, preso dalla foga, non rende la piccola buca un vero e proprio cantiere di scavi abusivi. Egli rinviene dei reperti importanti nonché i papiri in cui Lucilio, allievo di Seneca, rispondeva alle note "Lettere a Lucilio". 
Aiutato dall'impavida Alessia e dal suo fidanzato Enrico il papirologo, riuscirà a decifrare le lettere. Luciano e Alessia si ritrovano a leggere la corrispondenza epistolare tra i due filosofi e si divertono a commentarla, mentre il tempo passa e la felicità resta un obiettivo incerto e complicato, ma fa parte del gioco.

Recensione: Gradevole, senza rischiare di diventare troppo pesante tra un botta e risposta e l'altro; lo scambio tra i due filosofi, ricco di significati profondi e consistenti, viene alleggerito dalle discussioni più terrene e pratiche di Luciano e Alessia che s'improvvisano filosofi moderni e si divertono a prendere le parti dell'uno o dell'altro. Molto carini davvero, danno né più né meno l'impressione di due amiconi che al cinema si danno gomitate commentando il film, neanche fossero compagni di merendine.
Ma vi spiego com'è nata la loro amicizia dalle fondamenta: Luciano comincia a scavare in cantina e a un certo punto si accorge di avere bisogno di un parere di un professionista, o quasi. Qui cerca l'aiuto di Alessia, che partecipava già a degli scavi ufficiali poco distanti da lì; le mostra la sua collezione di ritrovamenti e lei inizialmente non approva, poi divertita dal rischio si fa complice e non lo denuncia alle autorità. Solo che per rimettere in sesto i papiri hanno bisogni di Enrico, uomo tutto d'un pezzo e forse troppo all'antica per Alessia.
Tra il maestro e l'allievo delle lettere, salvo varie sfumature che non mi tornano, preferisco l'allievo. Lucilio ha una visione più dinamica della vita, che si pone fortemente in contrasto con l'impassibilità che Seneca raccomanda in continuazione: chiede di non mischiarsi ai banchetti, a ciò che il popolo comune fa, ma le risposte che riceve sono altrettanto di carattere e a tono. L'allievo si pone sempre per la mediazione, per il godersi i piaceri della vita senza giungere agli eccessi ma evitando il fastidioso moralismo, che spesso impone l'assurdo. Come se i due si potessero suddividere tra l'idealista e il realista; Seneca si sforza troppo di sembrare fuori dal mondo, rispetto a un Lucilio che, è più disposto a patteggiare e analizzare le situazioni.
Lucilio mi ha colpita tanto quando, in risposta all'invito a fingersi povero per qualche giorno e di vivere umilmente, così da essere pronto in caso tempi peggiori dovessero sopraggiungere, rifila una stoccata cruda e tagliente: atteggiamento con il quale smaschera diversi consigli che denotano una certa ipocrisia di fondo:

A mio avviso, infatti, il problema non sta tanto nell'avere davanti un pollo farcito o un tozzo di pane duro, quanto nell'avere all'interno del proprio animo la consapevolezza di essere ricco o quella di essere povero. Che io mi alzi da tavola con la fame, quando so benissimo che, volendo, potrei mangiare tutto quello che mi pare, non serve assolutamente a nulla. Al massimo potrebbe essermi utile per mantenere la dieta. Come a dire che, per vivere da povero, bisogna essere sul serio poveri, e provare a vedere, almeno una volta nella vita, i propri figli invocare con le lacrime agli occhi un tozzo di pane e non avere di che sfamarli. Solo questo tipo di sofferenza, credimi, può irrobustirti l'animo. 
Ho gradito davvero la forza emotiva dell'allievo, che nonostante non sia più giovane,  conserva in sé un certo spirito di contraddizione, una propria irruenza. Più Seneca intima a questo mare di placarsi, più generalmente riceve un: "Sì, ma..."
La stessa "conflittualità" si conserva nel rapporto insegnante/allieva, dove più Luciano cerca di spiegarle la vita, più riceve persino rimproveri che danno corpo a leggeri battibecchi. 
Simpatici i punzecchiamenti, ma soprattutto puntano al cuore i messaggi universali e viscerali che emergono dalle pagine: sta alle singole persone assorbirli e farli fruttare secondo la loro anima, farli risuonare mediante la vita.
Come se il tempo non fosse mai passato, come se fosse solo un'idea.
Il nucleo dell'essere umano dai tempi di Seneca e Lucilio non è cambiato affatto: gli stessi temi angosciano l'uomo contemporaneo; forse anche la felicità è già stata scoperta da qualcuno e si nasconde in qualche angolo, tra le pieghe del passato che in realtà non passa. 

Ora mi chiedo: a che serve essere l'imperatore del più grande impero del mondo se poi si è costretti a vivere nel terrore? Vuoi vedere che è meglio essere povero e alla fine morire tra le braccia di un amico che ti vuole bene? Addio


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