Translate

mercoledì 22 marzo 2017

Dov'è il pulsante rosso?

Sto sudando l'anima in questo corridoio infernale e le pareti sembrano stringersi.
L'unica cosa che dovrei fare è premere il pulsante rosso.
Lo farei, se ricordassi qualcosa. Se solo ricordassi come sono finita in questo posto, i muri pieni di gigantografie di ricordi della mia infanzia.
Devo premere il pulsante rosso. So che c'è, ma non so dov'è.
Avevo gli occhi pieni di gioia: la potevi percepire come petardi, schizzare fuori dalle pupille pulite e ingenue. Le manine gonfie in un pugno che non è stato mai dato veramente.
Troppe volte quel pugno me lo sono data all'anima, invece di darlo a chi senza ritegno mi ha accoltellata ripetutamente, senza nemmeno chiedere scusa.
Quella era solo la prima immagine incollata alle pareti, impastate di disperazione, come un sudario.
La seconda.
Stavo sputando la minestrina, ovunque. I capelli corti e ricci, che sono rimasti tali finché c'era un sorriso da incorniciare, poi hanno ceduto anche loro, delusi, verso il basso, come la mia bocca.
Anzi, purtroppo la mia bocca piega in una direzione falsa, accenna un sorriso anche quando avrebbe voglia di vomitare merda.
Ho una bocca fasulla, sfregiata a forza da un ironico destino, verso l'alto.
O forse le mie labbra inconsapevolmente credono ancora in qualcosa.
La terza.
Stavo cercando di usare il girello, in una maniera che nemmeno gli stambecchi zoppi... ok, avete capito, più o meno. Non importa.
Non c'è nessuno, in mezzo allo zolfo, che possa capirmi.
Dov'è il pulsante rosso?
La pelle mi fa male per il dolore, il sangue addosso è colloso, prude e voglio grattarmi fino a che non si stacchino le croste. Voglio concedermi di cadere a pezzi.
Le foto sono coperte da (vernice?) rossa, come se avessi cercato di cancellarle con degli scarabocchi. Sono stata io? Con cosa?
Lo sguardo vacuo, spento come quello delle mucche al mattatoio.
Non voglio chinarmi a vedere se ho le mani sporche.
Oltre gli scarabocchi, tre grossi no, enormi quanto le gigantografie.
Wrong.
E questo è solo l'inizio: l'immenso corridoio fa girare la testa, pieno di vernice densa, rossa e pesante. Altri ricordi distrutti.
Mi sono pisciata addosso e ciò mi fa sentire putrefatta. Il puzzo del piscio impastato alle ferite è come una botta in testa.
Gira tutto.
Ditemi dov'è il pulsante.
Non voglio andare avanti.
Il mio corpo è in brandelli dal terrore, lo chiamo e non risponde più.
Muovo cinque tremanti passi.
Non bastano.
Altri cinque...
Qui ero in un bosco, posso sentire ancora l'aria frizzante lambirmi in una danza selvaggia.
Il mio cappottino profumato, come quello di tutte le bambine.
Perché le bimbe crescono e poi diventano diverse?
C'erano dei giochi di legno, costringevo i miei a passarci le ore.
Quanto mi piacevano quegli alberi...
Avevo sei anni, in quel bosco non è rimasto un ciuffo vivo. Hanno abbattuto qualsiasi cosa.
Non vedo come avevo i capelli: una spaventosa macchia rossa, colante, sfregia l'intera faccia.
Inghiotto fiotti di sangue, sangue che denso risale e mi costringe ad andare avanti, tremante.
Se avessi un'anima scapperebbe adesso terrorizzata. È troppo da sopportare.
Il corridoio è pieno. Pieno di vernice rossa ovunque, ovunque "NO" a caratteri cubitali sulle uscite al mare, i compleanni, le gite, i fuochi d'artificio, le carezze, gli abbracci, ogni minimo residuo di calore.
Girando più volte su me stessa, tremando, cagandomi addosso, perdendomi anche se la strada è una sola in rettilineo, trascinando il mio povero essere nello strazio di vedere e rivedere ciò che è stato, fino alla nausea, fino a perdere i sensi, giungo in fondo a quel corridoio che sembrava non finire più.
Tre immagini sono immacolate, in evidenza. Il caos non le tange. Non una firma, non una scritta, non una sbavatura.
Risoluzione perfetta.
Nitide.
Una sequenza di lavori persi.
I tradimenti. I tradimenti. I tradimenti.
Colleghi, amici, uomini che amavo e mi hanno sparato al cuore con leggerezza. Poi hanno preso ciò che restava di me, di una me sanguinante e incerta e l'hanno ridotto in poltiglia.
Esposti in bella vista, i miei fallimenti.
I brividi di freddo mi mettono in ginocchio, urlo di dolore per le infinite volte in cui il gelo della solitudine mi ha fatto cigolare le ossa, come quando violenti una forchetta contro il piatto, fino a che non ti sanguina l'orecchio.
Fa così freddo che la pelle non è più croste; è polvere.
Gli organi esposti, le infezioni.
L'ultima foto.
Sul fondo del corridoio.
È una via d'uscita, è una porta trasparente che dà su uno splendido giardino.
Ma è un'immagine. Non posso aprirla.
C'è solo, a terra, un colossale pulsante rosso.
Raccolgo le ultime forze e lo pigio con rabbia.
Proprio mentre lo faccio, una figura mi scavalca e apre la porta d'uscita disegnata...
Lo sconforto mi è padrone...




Nessuno seppe mai come fece.
Un olezzo rivoltante infestava la stanza.
La trovarono con la pancia aperta.
Le budella rivoltate sopra un album di foto.

Nessun commento:

Posta un commento