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giovedì 15 maggio 2014

Lettera d'amore


Buongiorno, anime!
Avrei dovuto dire: "buon pomeriggio", ma bando ai convenevoli. Oggi volevo condividere una lettera con voi, che avevo scritto per un concorso. Ebbene: non mi sono qualificata, ma ho ricevuto un simpatico attestato!



Dopotutto vincere sarebbe stato bello, ma essere riuscita a toccare lo stesso il cuore di qualcuno, è altrettanto importante.
Vincere non è lo scopo primario; emozionare sì.



Caro Guido
scrivo perché tu non lo legga mai, scrivo per non impazzire. Scrivo perché altrimenti sarei già in bagno ad aprirmi le vene con una lametta. Ma non sono una disperata; o perlomeno, convincermi di non esserlo mi aiuta a superare la giornata ogni volta che il sole spalanca le fauci, ogni volta che devo buttarmi giù dal letto, fingendo di sentirmi viva.
Tutti i giorni mi spegni sigarette sulla pelle, e non lo sai.
Dicono che gli amori non corrisposti sono i più poetici, invece sono solo uno schifo. Un'ingiustizia a tradimento come nelle guerre, che tanto muoiono solo gli innocenti. Dicono che gli amori non corrisposti non dovrebbero esistere, che siamo stupidi noi a crearli, a dargli forma e farli volare, aquiloni di contrabbando; ma non posso farci niente se mi sei scoppiato dentro come un tumore e non fai altro che ridurre in cenere ciò che è rimasto di buono in me, se ogni volta che ti guardo negli occhi mi perdo e devo fermarmi per recuperare il respiro. Per nascondere il mio segreto, per celare la ferita aperta e sanguinante sotto stitici sorrisi di gesso.
Non volevo te e non ho mai pensato a una persona come te, finché non ti ho sentito ridere. Finché non ho ascoltato attentamente ciò che dicevi per naufragare in ogni tua singola parola.
Perché era quello che mi trascinava pericolosamente verso di te: i tuoi discorsi erano una porta magica attraverso la quale facevi passare il mondo e ne usciva diverso, cambiato, plasmato con le tue mani. E ci credevo. Ci credevo anche se non volevo e non dovevo crederci. Ci credevo nonostante avessi un altro. Ho fatto di tutto per salvarci, per scappare da queste lacrime; ma la sua risata cadeva inevitabilmente nella tua, ogni volta che mi era dentro apparivano dal nulla i tuoi occhi. Non era più lui: facevo già l'amore con te.
Desideravo solo morire per non incrociarti ancora una volta, per non scherzare con te sforzandomi di far finta di niente. Perché tu non mi vedessi a pezzi, perché tu non mi chiedessi cos'ho; invece ti ho guardato dritto in quei turbini scuri per dirti “non preoccuparti: sto bene”. Per non sentirmi un'adultera, una schifosa, per scrollarmi quello sporco di dosso, per non farmi ancora più disgusto di così. Ma la tua amicizia non ha fatto altro che bruciare, corrodere ogni singolo neurone nella mia testa. Non so più contare le vicissitudini che ti hanno strappato a me, sono graffi che pulsano ancora.
Dovevo solo starti lontana, evitare di parlarti, di giocare col fuoco. Invece mi son lasciata sventrare viva. E i tuoi denti non ne hanno ancora abbastanza.
Ti scrivo perché tu non capisci, nessuno capisce quanto faccia male ardere vivi senza poter urlare: brucia tutto e boccheggi come un disperato, ti castighi inghiottendo i fantasmi, frustrando i tuoi sentimenti già repressi. Rimangio le lacrime e non voglio crollare; ma non ne posso più.
Sei un tormento vivo e costante da quando non hai capito, da quando ho lasciato lui, da quando hai scelto lei: mia sorella. Poco diversa da me: tanto che mi fai sempre pensare che ci sono andata così vicina da perdere il senno. Vorrei strapparmi via questo corpo ogni volta che entri in casa con quel giubbotto di pelle e l'aria da svampito, mi rifili una pacca sulla spalla e poi ti chiudi in camera con lei, la stessa camera in cui vado a dormire e ricostruisco i vostri odori fusi in una cosa sola.
Le volevo così bene... ora vorrei solo tirarle via la faccia perché non sono lei. Perché lei ti spalma addosso e io non ti vivrò mai.
Mi sveglio a notte fonda singhiozzando in preda a crisi di panico, perché mi resterà sempre quel dubbio attanagliante, di quando ero occupata e chiedevi a lei di me. Cosa le chiedevi davvero, quando le chiedevi come stavo? Cosa mi chiedevi davvero, quando mi chiedevi come andava col mio lui? Dimmi che erano solo domande innocenti, dimmi che non avevi secondi fini. Ti prego, dimmi solo che non hai scelto lei perché non potevi avere subito me; dimmi che non ti ho perso solo per un equivoco, uno stupido scherzo del destino, che questo grumo di sofferenza mi sta rendendo cieca.
Le mie ali spezzate non mi fanno volare, questa tenaglia sul cuore non molla né allenta la presa.
Le tue iridi torbide, in cui galleggia un bagliore triste di luce, con segreti che non dirai mai. La nostra storia: un embrione abortito di passaggio, che se alcuni son capaci di passarci sopra e ricominciare, io sono ancora lì a tamponare emorragie. A sanguinare cieca, senza forze e senza coraggio. E soprattutto, senza te.
Perdonami se non riesco a fingermi sempre felice, ma quell'amore embrionale abortito distrattamente, per sbaglio, la mia anima lo vedeva già un bambino.
Sei la cosa più bella e brutta che potesse mai capitarmi. Cercherò di cancellarti, di gettarti in un oblio bevendo ogni veleno possibile per dimenticare; ma non chiedermelo più: non trivellarmi ancora quello straccio di cuore con quello sguardo strano, agrodolce preoccupato, chiedendomi se sto bene.
Non sta bene una persona che cerca di cancellarti dall'anima per non morire.

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