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mercoledì 10 luglio 2013

Rinnegato.

Questo intervento necessita di una piccola, breve spiegazione. E' frutto del contagio passeggero da parte del mondo delle fanfiction, che pur non essendo il mio, ha saputo ispirarmi, tirarmi fuori qualcosa. Quindi si; codesto post incriminato va considerato una specie di fanfiction su Brian Molko, frontman dei Placebo. Diciamo che tutto ciò non contiene una vera e propria storia: mi sono limitata a sentire, cercare d'interpretare ciò che la sua anima potrebbe (o avrebbe potuto tempo fa) contenere. Non v'è nessuna pretesa di dare una cronologia specifica agli eventi, che in un certo senso si mescolano alla rinfusa, si amalgamano. Perché non è l'ordine ciò che è importante, quanto il senso. Percepire,  identificare il dolore e le sue fonti. Volevo tirar fuori il veleno che si prova quando per trovare una propria strada, si finisce per sentirsi incompresi.




La mia anima è uno strapiombo. Un precipizio di cui non vedo la fine, che inghiotte la bellezza intorno e la ricaccia logora, sfregiata. Io so solo usare, sporcare un foglio di parole, imbrattare la gente che ho vicino con lo schifo che mi porto dietro. Distruggo ogni cosa e getto i detriti in quella trappola letale, sperando che si riempia prima o poi. Intanto ho macchiato di petrolio un'altra anima. La ragazza si riveste e forse correrà dalle amiche a raccontargli che si è fatta un aspirante musicista e lo considereranno figo. “Il mio cuore è una sgualdrina”, mi viene in mente; tuttavia, nella mia testa deviata lei non è altro che un ricordo malato, lontano, di una come tante. Una sera di noia. Lei è la mia vergogna, il teatro che mi sta stretto e non lo sento nella pelle e  non parla realmente di me, la sensazione di smarrimento nel non trovare uno scopo nella vita. Lei, anzi, io, non sono nessuno. Io sono i miei tentativi andati storti, le prese in giro dei ragazzi a scuola, la delusione di mio padre per cui non sarò mai abbastanza nemmeno conquistando il mondo, che vuole per me una vita fatta di numeri. Sono la fede rinnegata di mia madre. Sono quel malessere diffuso, che come una metastasi senti solo quando è tardi, quando ti ha inghiottito. Mi dispiace: non sarò mai come volete voi e fingo che non me ne importi nulla. Ostento trasgressione per farmi forza, come se mostrarmi ostile a prescindere mi facesse sentire meno disprezzato. Ho cercato di essere abbastanza, mamma e papà, di non deludere da subito le vostre aspettative; la verità è che il mondo mi fa paura e non rifiuto tutto ciò semplicemente perché la routine mi annoia, ma perché mi uccide l'anima. Aggredisco per difendermi, vi distruggo per salvarmi da voi che non avete voluto capire.  Un lavoro di numeri mi fa paura; l'ostilità della gente che incontrerei su quel cammino, mangerebbe quel po' di umanità rimasta in piedi. Vorrei avere le risposte in modo che nessun altro soffra per le mie stesse domande, perché non debba affrontare  un inizio di esistenza così triste, fragile, precaria. Perché, un posto per me sembra non esserci mai e sbatto come un pipistrello su tutti i miei errori. I numeri mi spaventano perché sono impersonali e non capiranno mai la mia storia, né cosa sto provando... e non servono a niente. Non mi salveranno. Mai colmeranno la mia voragine, il mio disperato bisogno d'approvazione, di calore umano. Mai cuciranno le mie ferite. Di numeri me ne bastano solo sette: solo le note possono capire. Le anime degli altri non le incontri da dietro una scrivania guardandole dall'alto in basso, con cipiglio; poi si chiudono a riccio e non le vedi più. Le incroci solo quando gli dai in pasto il tuo dolore. 
Sarà la mia sofferenza pura, angosciante, priva di risposte al punto tale da spezzare il più lacerante dei pianti, a penetrare crudelmente negli altri. Il mio sanguinare a cuore aperto li farà sentire amati, come se mi straziassi solo per loro e capiranno. Più di mio padre e mia madre che mi hanno fatto sentire condannato, rinnegato pur volendomi aiutare, “salvare”, gli estranei sapranno capire. Chi non ti conosce, non avendo aspettative, amerà ciò che saprai offrirgli, senza forzature. Ti amerà per quello che sei.
Spero solo che l'affetto di chi non conosco basti a cambiare le sembianze di quelle schegge di vetro rotte, opache a cui sono ridotti i miei occhi. Voglio sentirli pieni di qualcosa. Finalmente vivi.

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