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venerdì 28 giugno 2013

Face in.

La vita. La sento scivolare tra una canzone di troppo e un pensiero distratto sul futuro inarrivabile. Piove. Scroscia prepotentemente da ogni parte. La grandine peggiore è quella che perfora il cuore, o quella parte dell'orgoglio che non so neanche più dov'è. Dovrei portare il cane. 
In quella casa non ci voglio tornare e quell'essere con lo sguardo languido, foderato di peli, sembra l'unico ad averlo capito, o perlomeno l'unico che non impone la propria condizione. Non fa domande. Forse, dalle feste che mi fa quando ce ne andiamo, a volte neanche lui ha sempre voglia di tornare. A volte per scappare non serve nemmeno arrivare lontano. Basta starsene lì, sotto il portico, in due, a fissare i chicchi della grandine di Giugno che stuprano ogni cosa. I tuoni rimbombano e la loro prepotenza nasconde le mie lacrime. Poi sorrido, mi vengono in mente le parole di quel brano strimpellato allegramente dalla chitarra: 

"And I put my face right?
And I put my face in?"...

"Ed ho messo la mia faccia, giusto?
E ho messo su la mia faccia?"

Le cose più dolorose son sempre dette tra una risata e l'altra, così nessuno si accorge di quanto stai male e passa un altro giorno. Indossi un'altra faccia, la più convincente per mostrarti meno debole e passa la paura. No, a dire il vero quella non passa mai. Resta sotto la tettoia con me e il cane; l'unico che sembra capire, o almeno a cui interessa provare a capire. A volte nemmeno t'interessa che gli altri giungano alla tua stessa conclusione, che sappiano scavarti così dentro. A volte ti basta solo la dimostrazione affettiva del provarci. Quando qualcuno vuole penetrare il tuo muro in un modo o nell'altro, anche in quello sbagliato, ti ha già dimostrato che ti vuole bene.
And I put my face in? 
Tutto passa, anche la pioggia, prima o poi, tutto si placa. Io e lui che usciamo allo scoperto e passeggiamo. E poi mi fermo, attratta dalla visione di un canale di scolo, che mi sembra la più perversa, affascinante metafora della vita che scivola.


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